Gonne di paglia svolazzanti, il viso pitturato di nero, rosso o bianco come i guerrieri Indios dell’Amazzonia, due bastoni, un cerchio e gli atabaque che rimbombano al suono del ritmo di Maculelê.
Ecco quello che succedeva nel XVIII secolo nelle piazze di Santo Amaro da Purificaçao e si vede ancora oggi negli spettacoli di Capoeira.
Succede per tramandare una tradizione, per non dimenticare eventi del passato, che ci servono per migliorare il futuro.
È una danza che rappresenta la resistenza: la parte iniziale serve a spaventare il nemico, poi c’è lo svolgimento della battaglia e una parte finale che rappresenta la vittoria.
In pochi, però, sanno che tutto ciò viene da alcune leggende che sono state raccontate dagli anziani capoeiristi.
Tra tutte le storie, ve ne racconterò una che inizia in un villaggio tribale dell’Africa nera.
Era l’epoca del Regno di Ioruba, nel XV secolo e, in piccolo villaggio della popolazione Bantu, c’era un giovanotto di nome Maculelê.
Egli era diverso da tutti gli altri maschi della tribù: era esile e non aveva affatto l’aspetto di un guerriero o di un cacciatore.
Nel suo villaggio, già in tenera età, i maschi imparavano ad andare a caccia nella foresta e a lottare per difendere il villaggio, semmai arrivassero degli invasori. Lui, invece, amava raccogliere le bacche, cucinare e accudire i bambini più piccoli, proprio come facevano le donne.
Ogni qual volta che Maculelê usciva con il padre e gli altri uomini del villaggio per andare a caccia, veniva deriso e considerato un debole.
Con il suo arco, non riusciva nemmeno a sfiorare un montone e le frecce gli scivolavano spesso tra le dita ancor prima di tendere la corda.
Suo padre sembrava deluso da lui, unico figlio maschio della famiglia.
La verità era che a lui non piaceva la guerra, gli sembrava una cosa senza senso, pensava che un mondo pacifico sarebbe stato un mondo migliore.
Oramai tutto il villaggio aveva perso le speranze con lui e nessuno cercava più di convincerlo a diventare un cacciatore.
Col tempo, smise di partecipare alle battute di caccia, perché era considerato da tutti un impedimento. Era più utile se restava ad aiutare il villaggio.
Passava quindi sempre più tempo tra le capanne della tribù aiutando tutti quanti: donne, bambini ed anziani.
Un giorno, tutti gli uomini del villaggio si riunirono in una capanna e anche i più giovani presero parte all’incontro.
Maculelê aveva ormai 17 anni ma poco era cambiato rispetto a quando era in tenera età.
I grandi, stavano parlando di un attacco alla tribù nemica, ma lui non vi prestava attenzione, intento com’era ad incastrare denti di serpente in un filo, per fare una nuova collana.
Ogni tanto qualcuno posava gli occhi su di lui e scuoteva la testa a destra e sinistra come segno di disapprovazione.
Suo padre avrebbe voluto sprofondare nel terreno, ma fingeva di non accorgersene nemmeno.
“Le nostre coraggiose sentinelle hanno visto che il nemico è vicino….” diceva nel frattempo il Grande Capo del villaggio “…si stanno nascondendo non lontano da qui, vicino al fiume”…. “vogliono farci un’ imboscata”
“Dobbiamo sorprenderli!” disse un uomo grosso con i capelli bianchi che sedeva in prima fila
“Esatto!” continuò il Grande Capo “le donne si prenderanno cura dei bambini e degli anziani e tutti noi andremo al fiume, non ci fregheranno!”.
Ecco che tutti si alzarono e fecero l’urlo dei guerrieri del villaggio “oh oh oh tagatum tagatum…” erano pronti per partire all’attacco!
Si crearono due file e tutti gli uomini si prepararono ad uscire dalla capanna, senza smettere di urlare.
Improvvisamente però, il Grande Capo, con il solo movimento della sua lancia, interruppe tutto.
Calò il silenzio e tutti i presenti si guardarono intorno per capire cosa fosse successo di tanto importante da fermare quell’energia.
“ Maculelê!” disse il Capo con voce grossa e ferma “tu rimarrai al villaggio, non è sicuro portarti con noi, saresti solo un piantagrane! Tuo padre non è mai riuscito a crescerti come un vero uomo, se verrai con noi, non farai altro che disonorarlo ancora di più”.
Tutti scoppiarono a ridere a crepapelle, poi si voltarono e tornarono sui loro passi.
Maculelê rimase fermo immobile, una lacrima iniziò a scorrergli sulla tenera guancia; lui cercava di trattenere il pianto, per non apparire ancora più debole, senza tuttavia riuscirvi.
Suo padre avrebbe tanto voluto rimanere con lui, abbracciarlo forte e dirgli che lo amava per quello che era, ma non poteva.
Egli era profondamente addolorato per la fragilità del figlio, di cui si sentiva forse responsabile.
Fu l’ultimo ad uscire e non tolse mai lo sguardo da lui, per mostrargli il suo dispiacere nell’unico modo possibile, ma poi dovette partire con gli altri.
Maculelê corse alla sua capanna con gli occhi sempre più lucidi e pieni di rabbia.
Non volle parlare più con nessuno e si chiuse in sé stesso.
Passò la notte a rimuginare su quanto accaduto il giorno prima e pensò al bene che faceva alle persone del villaggio, nonostante pochi se ne accorgessero.
Gli anziani lo adoravano perché lui era così gentile e generoso che faceva per loro le faccende più faticose come portare i secchi d’acqua dal pozzo alle capanne, oppure i lavori di riparazione per chi ne avesse bisogno.
Le donne apprezzavano molto il suo aiuto nelle pulizie o ad accudire i bambini e farli giocare.
Tutti quelli che restavan al villaggio nutrivano un sentimento di grande stima per Maculelê e anche lui, di conseguenza, era affezionato a tutti loro.
Si fece l’alba e Maculelê si svegliò di soprassalto perché aveva sentito uno strano rumore.
Decise dunque di uscire cautamente dalla capanna per controllare che andasse tutto bene.
Rimase incredulo quando vide un gruppo di guerrieri della tribù nemica avvicinarsi al villaggio.
Si muovevano lentamente per non fare troppo rumore e i loro movimenti ricordavano quelli degli animali. Stavano raggiungendo le capanne.
“Ci hanno ingannati” pensò “ci hanno fatto credere che ci stavano attaccando per distrarci, ora non c’è più nessuno a difendere il villaggio e siamo molto più vulnerabili, inoltre non abbiamo armi”.
Le sue gambe iniziarono a tremare, non sapeva cosa fare, non avrebbe mai fatto in tempo a cercare rinforzi, oramai poteva contare solo su se stesso.
Ma il tempo era troppo poco anche per pensare ad una strategia.
I guerrieri della tribù nemica avevano già raggiunto la zona abitata. Stavano per entrare a saccheggiare le capanne e avrebbero distrutto tutto quanto.
Agì d’istinto.
Dentro di sé ribolliva ancora di rabbia per il discorso del Capo Villaggio. ma ancora di più, amava così tanto gli abitanti della sua tribù che trovò in sé stesso tutta la forza che aveva in corpo.
Doveva agire, e subito! Non poteva sfidare i nemici armati con solo la forza del suo corpo, allora si guardò attorno e rapidamente raccolse da terra due bastoni.
Uscì allora dalla capanna facendo un salto mortale, terrorizzando i nemici, i quali rimasero impietriti e increduli, e gridò: “Scappate ragazzi! Che io sono Maculelê!”.
Il suo urlo da guerriero era più spaventoso che mai.
Anche lui in fondo aveva un animo combattivo, aveva solo bisogno di trovare la giusta motivazione.
I nemici tentarono di scappare a gambe levate ma non ci riuscirono.
Nel frattempo, dopo aver capito di essere caduti in un tranello, Il Grande Capo e tutti gli altri guerrieri del villaggio erano tornati indietro.
In pochissimo tempo tutti i cattivi vennero catturati e rispediti indietro dopo averli costretti ad firmare un trattato di pace.
Tutti gli abitanti del villaggio uscirono esultando con dei bastoni in mano in segno di riconoscimento al loro eroe, gridando “ Maculelê! Maculelê! Maculelê!…”.
Il Capo Villaggio non poté fare a meno di riconoscergli il merito di aver salvato tutti quanti con il suo grande coraggio.
“ Maculelê, avresti potuto morire, con soli due bastoni e la tua inesperienza non saresti riuscito a difendere la tribù, tuttavia ci hai provato lo stesso e non hai esitato. Sarai per sempre ricordato come l’eroe del villaggio! Mi sono sbagliato sul tuo conto…”
“…ecco… prendi questo” continuò mentre porgeva a Maculelê il suo cappello di piume “lo cedo a te, in segno della mia gratitudine”.
Suo padre corse ad abbracciarlo. Non poteva essere più orgoglioso e fiero di suo figlio, che alla fine si era dimostrato un grande uomo, senza per forza dover essere un cacciatore o un guerriero come gli altri.
Quella sera ci fu una grande festa: tutti ballarono attorno ad un grande fuoco; donne, uomini e bambini si muovevano a ritmo di tamburi con due bastoni in mano in onore di Maculelê, l’eroe indiscusso della tribù.
La sua storia divenne leggenda e le sue gesta sono raccontate in una danza, che dal quel giorno in poi, fece il giro del mondo.
- Personaggio leggendario
Scritto da: Gnecchi Elisa