Abitava in una piccola città nello stato di Bahia, in Brasile, un ragazzino di nome João Pereira. Queimadas, era una zona con molto verde, torrenti e piccole cascate e poche case sparse per il territorio. A João non era mai piaciuto troppo vivere li.
Sua madre, Maria Clemença de Jesus, lavorava la ceramica e la sua famiglia discendeva dagli Indios, che erano i più antici abitanti del Sud America, e quindi anche del Brasile. Suo padre, Maximiliano Pereira dos Santos, era invece un contadino che portava le mucche al pascolo in un’azienda agricola della zona.
Tutte le mattine João lo osservava lavorare, doveva apprendere tutti i segreti del mestiere perchè avrebbe dovuto proseguire il suo lavoro, un giorno.
In cuor suo, però, non voleva che quello fosse il suo futuro; lui sognava di vivere in una grande città.
Si ricordava di un giorno in cui uno zio, che abitava nella città di Salvador, la fervida capitale dello stato di Bahia, li andò a trovare. I racconti dello zio erano di una città tutta colorata, con delle strade ripide e le piazze piene di ragazzini. Lì, si ritrovavano tutti gli intellettuali e gli studiosi più importanti dell’ epoca e, proprio per le sue strade, si suonavano e ballavano tantissimi ritmi diversi come il samba e la bossa nova.
Da quel giorno in poi, non ci fu una notte in cui non avesse sognato di vivere proprio li.
I giorni passavano e João continuava a seguire il padre nella fattoria.
Aveva timore di ferirlo dicendogli la verità e, nel tempo, mise da parte i suoi sogni.
Il giorno del suo quindicesimo compleanno, però, mentre soffiava le candeline della sua torta, tutto gli tornò alla mente. Stanco di nascondere la verità ai suoi genitori, decise quindi di chiedere il loro consenso per partire e andare a vivere nella grande città.
La madre si mostrò felice per la sua decisione e appoggiò di buon grado la sua scelta, mentre il padre rimase un po’ frastornato: proprio non si sarebbe mai aspettato una simile richiesta da parte del figlio. Alla fine però, anche lui si lasciò convincere, commosso dalla grande ambizione del giovane João e dal desiderio di renderlo felice.
Al momento della partenza, mamma e papà Dos Santos, fecerò a João tantissime raccomandazioni. La madre lo riempì di baci, tanto da metterlo in imbarazzo e gli diede una valigia piena di provviste per il viaggio: erano così tante che avrebbe potuto sfamarci l’intera città, ma, d’altronte non si sa mai cosa possa succedere quando si è da soli! Il padre invece, decise di fargli un solo dono, ma uno molto importante. Gli regalò il suo cappello. Non era un cappello di valore, ma, ogni qual volta che João si fosse sentito solo, avrebbe potuto ricordare il padre grazie ad esso.
João sapeva che vivere da solo, senza l’aiuto dei suoi genitori, sarebbe stato molto difficile e che avrebbe dovuto trovare al più presto un lavoro. Si fermò quindi prima ad Alagoinhas e poi a Mata de São João, due città nelle quali era molto più facile trovarne uno.
Trovò lavoro in una piantagione di canna da zucchero, nella quale abbe l’occasione di fare tante nuove amicizie. Uno dei suoi amici più cari, era un tale di nome Juvêncio che lavorava come maniscalco: colui che mette i ferri ai buoi ed ai cavalli. Oltre a questa grande abilità, Juvêncio sapeva anche fare Capoeira.
I due, passavano molto tempo insieme e, ben presto, anche João si appassionò ad essa.
Passarono ben dieci anni prima che si mise di nuovo in partenza, questa volta, finalmente, per la sua città prediletta: la coloratissima Salvador.
La città era ancora più bella di come se l’era immaginata, ancora più incantevole dei suoi sogni. Le sue strade erano molto ripide e stracolme di gente a passeggio.
Nelle piazze giravano belle signore, vestite di bianco, che portavano sulla testa grossi cesti pieni di cibo e frutta, da vendere ai passanti. Le case erano tutte molto vicine le une alle altre e dipinte con colori vivaci come il giallo, il verde e l’azzurro. Nelle piazze molti giovani si riunivano per fare Capoeira o per suonare i tamburi, o per ballare il samba. La città era viva, colorata e chiassosa: non ci si annoiava mai nella incantevole Salvador da Bahia. Nelle strade più grandi capitava anche di vedere qualche macchina, di qualche ricco signore, mentre la maggior parte della gente si spostava con il tram. Il suo primo impiego, nella grande città, fu proprio come autista di uno di questi.
João fu ben presto molto amato e conosiuto da tutti quanti. Era un personaggio simpatico soprattutto per il suo aspetto: piccoletto di statura, aveva un naso a patata e portava sempre il suo prezioso cappello a coppola, anche dentro casa. Nell’arco di soli due mesi aveva gia fatto una marea di amicizie.
Un bel giorno, prima di andare a lavoro, João scese di casa per comprare il giornale ed incontrò uno dei suoi nuovi amici, di nome Cândido. Costui lavorava al porto della città, nei pressi del mercato, dove si trovava il giornalaio. “João! Amico mio…” gli disse Cândido “anche oggi da queste parti…”
“sono venuto a prendere il giornale, così ho qualcosa da fare nel mio tempo libero. Sai…ho fatto molte passegiate e ora conosco tutte le vie della città, anche quelle più piccole e nascoste, però mi annoio, non so più cosa fare quando non lavoro…” rispose lui
“ Mio caro João, annoiarsi a Salvador? Proprio qui, in questa piazza tutte le sere è una festa! Si gioca Capoeira!”
“Davvero?” João era molto sorpreso, non pensava che anche in altre città si facesse Capoeira.
“ Io facevo Capoeira, con il mio amico Juvêncio, quando abitavo a Mata de São João, ma lui mi disse che era una sua invenzione, dici che mi ha detto una bugia?”
“ah ah ah ah…” Cândido scoppiò a ridere “Vedi João ecco perchè sei così simpatico! Sei così ingenuo che ti bevi tutto, devi ancora vedere e conoscere un sacco di cose ma io ti posso aiutare!”…. “ vieni questa sera alle otto, proprio qui al Mercado Modelo”.
Il Mercado Modelo era un grandissimo edificio proprio vicino al porto di Salvador. Dava su una grande piazza che di giorno era piena di bancarelle in ogni angolo e la sera era completamente spoglia, ma…come raccontava lo stesso Cândido, si riempiva di vita e di Capoeira. João non riusciva a credere ai suoi occhi e alle sue orecchie, era tutto molto diverso da quello che si immaginava, tutto molto più bello.
Gruppi di giovani si riunivano in una grande roda, c’era così tanta gente che non riusciva a vedere bene cosa stesse succedendo in mezzo. Fortunatamente era così piccolo di costituzione che riuscì ad intrufolarsi fino ad arrivare al cerchio più interno e a vedere il gioco.
Era tutto molto diverso da quello che faceva con Juvêncio, era una lotta di furbizia, e quanta furbizia! Sembrava non accadesse niente tra i due giocatori quando ogni tanto uno faceva cadere l’altro, oppure lo colpiva con una testata che sembrava arrivare dal nulla.
João, però, rimase ancora ancora più colpito dalla batteria di strumenti e dall’energia del canto di chi suonava il gunga. Il gunga è il birimbau più importante, è quello che comanda la roda.
L’energia risuonava nell’aria attraverso la sua voce ed entrava dritta nel cuore di tutti. Il suo cuore anche iniziò a battere, quasi scoppiava dall’emozione. Era così forte la sensazione che non gli andò, quella sera, di soffermarsi oltre e se ne tornò a casa.
Non era nemmeno riuscito a salutare Cândido, che aveva riconosciuto tra la mischia da lontano. Dispiaciuto per questo, il giorno seguente andò a cercarlo.
“João, che fine hai fatto ieri?” gli chiese tranquillo appena lo vide arrivare…
“Sono passato al Mercado Modelo ma erano tutti così bravi che non ho voluto rimanere, avevo così tanta voglia di partecipare ma non sarei stato in grado di giocare”
“ummm….” pensò Cândido “credo che tu abbia bisogno di un maestro…”
“un maestro? Non puoi essere tu ad insegnarmi?”
“no João, io sto ancora imparando, ma ti posso far conoscere il mio, che ne dici?”
“sarebbe fantastico!”.
João era estasiato all’ idea di imparare da un maestro, per quel che aveva visto la sera prima, il suo amico era così bravo che nemmeno riusciva ad immaginare il suo insegnante.
Mestre Barbosa era scuro di carnagione, ne troppo alto, ne troppo magro. Era molto gentile e pacato ed accoglieva in maniera educata ogni persona che andava da lui. Anche lui portava sempre un cappello in testa, ma, il suo, era in stile panama, un tipo di cappello di paglia molto in voga.
Prese subito in simpatia il “piccolo” João che era molto determinato e non mancava mai a nessun allenamento.
I giorni passarono e João si allenò giorno e notte, diventanto ben presto un personaggio molto conosciuto nelle varie rode organizzate qua e la per la città.
“Cândido, amico mio!…” disse un giorno al suo compagno dopo l’allenamento “…ho scoperto una cosa fantastica, la devi sapere…”
“wow! Che cosa hai scoperto João?” gli chiese lui
“Ho scoperto che c’è un posto, proprio nel centro di Salvador, al Pelourinho, dove c’è quella grande piazza, e quella grande salita, hai presente?”
“si” rispose divertito “tutti conoscono il Pelourinho, è il cuore di Salvador”
“bene…” continuò entusiasta “…lì c’è un centro culturale, un centro di Capoeria, hai presente? Un centro dove si fa solo Capoeira e tutti i più grandi maestri si ritrovano lì”
Cândido rimaneva sempre più sorpreso per la sua ingenuità, sembrava che João venisse da un altro pianeta.
“Si lo conosco si chiama CECA, è il Centro Culturale di Capoeira Angola” disse
“E non ci possiamo andare?”
“Si certo, puoi andare, io sono sempre stanco per il lavoro ma tu…, si, tu dovresti proprio andare João! Io gioco Capoeira per divertimento ma tu, tu potresti diventare un maestro un giorno”
“Ma… Cândido…” il suo amico inziava a scocciarsi di rispondere alle sue domande ma, allo stesso tempo, era allietato dal suo entusiasmo intramontabile.
“Cosa vuol dire Capoeira Angola?”
“A questa domanda non ti risponderò, dovrai chiederlo al presidente del centro culturale, è uno dei più grandi Mestre che ci sono, qui a Salvador e nel mondo, il suo nome è Mestre Pastinha. Quando arrivi li, chiedi di lui”
João quella notte non potè proprio dormire. Aveva conosciuto la Capoeira con Juvêncio che la praticava da solo, o al massimo con pochi amici, così per divertimento; poi aveva conosciuto Cândido ed era rimasto impressionato dalla sua bravura; poi aveva conosciuto Mestre Barbosa che aveva un’abilità mai vista prima; ma ora, ora stava per conoscere il maestro per eccellenza, colui che insegna ai maestri.
Si svegliò all’alba, fece una buona colazione e andò a lavoro. Ora lavorava come capomastro: colui che dirige i lavori dei muratori. Finito il turno di lavoro si fiondò alla porta del luogo che gli avrebbe cambiato per sempre la vita: la CECA.
Sembrava di entrare in una casa qualsiasi della città, all’ingresso c’era una semplice porta di legno che rimaneva sempre aperta, sulla parete esterna, sopra alla porta c’era una scritta alquanto singolare: “Capoeira è tutto ciò che la bocca è in grado di mangiare”.
Al momento João non ne comprendeva a fondo il significato, anzi, continuò per moltissimo tempo a cercare di capirne il senso.
Dal suo primo incontro con Mestre Pastinha capì che non poteva esserci per lui un altro maestro, era lui e solo lui che voleva, il migliore in assoluto. Fortunatamente per lui, il Grande Mestre acconsentì ad insegnarli tutto ciò che sapeva.
João avrebbe dovuto però seguire attentemente i suoi consigli e i suoi insegnamenti perchè la Capoeira di Mestre Pastinha aveva delle regole ben precise ed era un po’ diversa dalla Capoeira che si faceva in strada, o al Mercado Modelo.
Seguendolo, João comprese che non si poteva spiegare in due parole cosa fosse la Capoeira Angola, perchè solo dopo un lungo percorso con Mestre Pastinha si poteva capire.
Passarono i mesi e João era sempre più bravo a giocare e suonare. Il suo telento iniziava ad emergere tra tutti i suoi compagni e il Mestre, orgoglioso di lui, gli diede un soprannome. Tutti i migliori capoeirsiti ne avevano uno e João fu molto contento di riceverlo. “D’ora in poi sarai João Pequeno!” gli disse il Mestre.
Tra gli allievi di Mestre Pastinha però, ve ne era un altro di nome João.
João Grande era tutto l’opposto di João Pequeno. Come vi potete immaginare era alto e massiccio, aveva le gambe molto lunghe e quando si spostava faceva quasi paura. Era uno degli allievi prediletti del Mestre e giocare con lui non era affatto facile.
Poco dopo aver ricevuto il suo sopprannome, João Pequeno si trovò a dover giocare con lui. João Grande non lo voleva ammettere ma, infondo infondo, era un po’ geloso del João bassettino che iniziava ad entrare tra le grazie di Mestre Pastinha.
Esso si mostrò impavido, convinto che la sua stazza gli avrebbe dato un grande vantaggio su João Pequeno.
Una canzone cantata dal Mestre aprì la roda, i due erano accovacciati uno difronte all’altro, pronti a partire per il gioco. João Grande sembrava avere la meglio all’inizio, metteva sempre in difficoltà João Pequeno che, però, non si scoraggiò e trovò il momento perfetto per fare il suo colpo migliore: la cabeçada, una testata dritta dritta sulla pancia dell’avversario, tanto precisa e forte da stendere l’avversario. Ma entrambi erano così bravi che non cadevano mai. Non erano solo forti, con i loro calci e i loro colpi, erano anche astuti e sapevano fare bene loro mosse, come i giocatori di scacchi.
La sfida tra i due continuò senza che nessuno riuscisse ad avere la meglio sull’altro.
Il Mestre fermò la roda, richiamando i giocatori con il suo berimbau e i due tornarono accovacciati li vicino. Rimasero a guardarsi negli occhi per un po’, poi si alzarono e colti da un sentimento di stima reciproca di strinsero la mano e si abbracciarono. Nonostante di nome uno era piccolo e l’altro grande, di fatto erano entrambi grandi capoeristi.
Mestre Pastinha era molto orgoglioso di loro, continuò ad insegnarli fino alla fine, e li trattò come se fossero suoi figli. Così parlava di loro: “Loro saranno i grandi capoeirsiti del futuro e, per questo, io ho lavorato e lottato con loro, per loro. Anche loro saranno Mestre, non professori improvvisati, come alcuni che girano qui e che sono solo capaci di distruggere la nostra così bella tradizione. A questi ragazzi ho insegnato tutto quello che so, persino il salto del gatto”.