Molti anni fa, in un villaggio nel bel mezzo della giungla del Brasile, nacque un giorno un grande guerriero.
Erano tantissimi i villaggi come quello, dove vivevano donne e uomini valorosi, che, per sfuggire alla schiavitù, si nascondevano nelle foreste.
Il suo, però, era in assoluto il più grande e il più importante di tutti: il Quilombo dos Palmares.
Un brutto giorno, poco dopo la sua nascita, il villaggio fu preso d’assalto dai proprietari delle piantagioni, che purtroppo ebbero la meglio. I soldati catturarono gli abitanti del Quilombo e li fecero prigionieri. Presero con sé anche il piccolo appena nato e lo portarono al loro padrone.
Costui era un uomo basso e tozzo e aveva una risata strana. Guardò quella piccola creatura innocente di fronte a sé e pensò che sarebbe stato magnanimo con lui.
“Padre Melo!” esclamò, “vieni qui subito!”.
Ecco che si sentì una porta scricchiolare e aprirsi dietro di lui.
A passi flebili comparve un uomo anziano, con la tonaca da frate, magro e con la schiena gobba, che si avvicinò al padrone.
“Uhm, uhm” si schiarì la voce roca, “ Eccomi signore! Come posso aiutarla?”
“ Vedi questo bambino, Padre Melo?”
“ Si signore”, rispose il frate
“ Lo affido alle tue cure, viene dal Quilombo Dos Palmares, ma ho deciso di tenerlo qui con noi!” “ Dovrai insegnargli tutto quello che sai: il portoghese, il latino, la teologia e la matematica…”
“ D’accordo signore” rispose ancora una volta il frate.
Padre Melo aveva un’anima buona, ma era sempre triste, perchè fino ad allora aveva sempre dovuto accontentare il padrone, anche quando il suo dovere non gli piaceva per niente.
In quel giorno caldo del lontano 1655, finalmente Padre Melo si sentiva rinato, perchè poteva fare qualcosa di buono. “Devo dare un nome al piccolo” pensò, e battezzarlo, perché il Signore possa proteggerlo da tutti i mali.
Decise di chiamarlo Francisco e lo crebbe come un figlio.
Quindici anni più tardi, Francisco andò da Padre Melo, in giardino, per parlare con lui: “Padre” disse… “ So che mi hai cresciuto bene, in un posto sicuro, ma io non sono nato qui vero?”
“ Vero!” rispose il frate
“ Quindi i miei fratelli non sono tutti fortunati come lo sono io…”
“ No Francisco, il padrone ha deciso di aiutarti per qualche ragione, ma devi sapere che lui non è sempre buono con tutti.”
“ Allora io voglio tornare là!” affermò Francisco.
Padre Melo rabbrividì all’idea di non vedere mai più il suo figlioccio che tanto aveva amato, ma ammirava allo stesso tempo il suo grande coraggio. Ci pensò un po’ e poi rispose: “ Mio amato Francisco, io ti ho insegnato molto, ma forse è giunto il momento che tu segua la tua strada, vedi, tu non sei uguale alle persone che vivono qui, sei un ragazzo forte e virtuoso e grazie alla tua intelligenza puoi aiutare molte persone e così, mi renderesti molto fiero di te”.
Francisco decise di tornare al villaggio dove era nato; desiderava che tutti i suoi abitanti avessero la possibilità di vivere come lui aveva vissuto: in una bella casa, con un bel giardino e gli animali.
Giunto al villaggio, Francisco rimase sorpreso nel vedere un grande muro corazzato tutto intorno alle capanne e numerosi guerrieri armati di lance all’ingresso.
“Chi sei?” gli chiesero le guardie.
“ Sono nato in questo villaggio e sono tornato per proteggerlo” rispose lui.
Le guardie lo fecero entrare, ma lo condussero dal Capo villaggio, che sedeva su una grossa sedia di legno di cocco.
Ganga Zumba, grande capo e condottiero del Quilombo Dos Palmares, era un uomo nero e possente, portava vesti molto colorate e il suo collo era adornato da collane ed amuleti e non si separava mai dalla sua lancia, che era la più alta e affilata di tutto il villaggio.
“Chi è questo giovane?” chiese curioso.
“ Arriva da ovest” rispose una guardia. “ Non porta nulla con sé e dice di essere nato qui”.
Ganga Zumba osservò Francisco con curiosità per un bel po’ di tempo. “’Come è possibile” pensò ” Sembra uno di noi: ha i miei stessi occhi, la mia stessa pelle e i miei stessi capelli, eppure la sua pelle è così liscia, le sue mani così morbide… non sembrano proprio quelle di un guerriero e di un giovane che tutti i giorni deve lavorare la terra per sfamare il villaggio”.
“Cosa ne facciamo di lui Capo?” sollecitò un’altra guardia
“ Portatelo nella capanna dei prigionieri per ora, poi capirò se può restare” rispose il Grande Capo.
Francisco si voltò senza rispondere e si fece scortare dalle guardie: voleva mostrare coraggio al suo popolo ed era sicuro che prima o poi tutti si sarebbero accorti che era uno di loro.
E fu proprio così che avvenne: non appena si voltò, Ganga Zumba esclamò “ Aspettate!” … “ fatelo avvicinare!”.
Il Grande Capo aveva notato una cosa sconvolgente: Francisco aveva sulla schiena una macchia scura, identica alla sua.
“Io so chi sei tu” continuò Ganga Zumba”
“Tu sei mio nipote Zumbì, rapito dai soldati ….come hai fatto a tornare?”
“Me ne sono andato dal posto in cui mi hanno portato perché voglio aiutare il mio popolo”…“Ma il mio nome è Francisco” rispose confuso.
“Tu sei un guerriero del Quilombo” gli spiegò Ganga Zumba “Sei nato per portare a termine il mio lavoro, quando io non potrò più difendere il villaggio” “Se vorrai restare, dovrai ricordarti chi sei e farti chiamare con il tuo vero nome: Zumbì!”.
Zumbì si limitò ad annuire: in fondo, pensò, il suo nome d’infanzia era certamente più adatto ad un vero guerriero.
Zumbì dormiva nella capanna di bambù, la più grande, dopo quella di Ganga Zumba; tutto il villaggio poneva grandi aspettative in lui.
Se voleva diventare un abile condottiero, però, avrebbe dovuto superare l’addestramento ed allenarsi tutti i giorni nel campo dei guerrieri di Palmares.
I suoi compagni erano molto invidiosi di lui e fecero di tutto per metterlo in cattiva luce nei confronti del Generale.
Ogni giorno dovette superare una nuova sfida: scalare la grande montagna del Quilombo; superare il fiume del coraggio con tutte le sue insidie e gli animali pericolosi che si nascondevano sott’acqua; arrivare alla fine del percorso nella foresta, pieno di bersagli da colpire con lancia senza mancare un colpo ed allenarsi a combattere in una grande sfida di capoeira con il generale.
Dopo i primi mesi di addestramento, Zumbì si sentì scoraggiato, pensò che non sarebbe mai riuscito a diventare il miglior guerriero del Quilombo e ad aiutare il villaggio, sentiva di essere il peggiore di tutti.
Fortunatamente però, tra i suoi compagni, c’era qualcuno che non lo aveva mai discriminato o trattato come un incapace: era una bellissima ragazza dai capelli mori e lunghi, la più forte guerriera del villaggio, il suo nome era Dandara.
Un giorno, mentre Dandara se ne stava seduta sotto ad una palma suonando il Berimbau, Zumbì decise di avvicinarsi a lei.
“Ciao, posso disturbarti?” le chiese.
Dandara continuò a suonare, ma gli rispose con un grande sorriso
“Certo, cosa succede?”
“Tu sei l’unica che non mi prende mai in giro come fanno gli altri, come mai?, credi che un giorno diventerò un abile guerriero?”
“Certamente” rispose lei con un sorriso ancora più grande “Sai Zumbì, la capoeira ci insegna a guardare noi stessi e valorizzare la nostra unicità. Tu hai vissuto lontano da qui ed hai appreso molte cose, se guarderai solo te stesso e non più gli altri, sono sicura che in poco tempo sarai un guerriero fortissimo” “E’ per questo che tu sei così brava?” le chiese Zumbì, affascinato dalla sua semplicità.
Ma lei non rispose e si allontanò sorridendo.
Da quel giorno, Zumbì si esercitò impegnandosi al massimo ed apprese perfettamente tutte le tecniche di Capoeira, anche quelle più difficili. In breve tempo diventò uno dei più abili guerrieri, perché aveva imparato a sfruttare in combattimento le sue capacità, come le aveva suggerito la sua amica Dandara.
Il Quilombo veniva costantemente attaccato dai suoi nemici.
Fino ad allora, Ganga Zumba era riuscito a contrastarli, ma iniziava a temere che presto non sarebbe più riuscito a respingerli.
Un giorno, un messaggero dell’ esercito dei Signori delle Piantagioni entrò nel villaggio per consegnare un trattato di pace al Grande Capo del Quilombo.
Ganga Zumba, allora, riunì tutti i suoi generali e i guerrieri più valorosi, per proporre loro di accettare il trattato. Tra tutti, vi erano anche Zumbì e Dandara.
Nessuno sembrava contrario, tranne Zumbì. Avendo studiato molto, nel periodo in cui viveva con Padre Melo, egli era diventato molto saggio.
Nella sala, si fece improvvisamente un grande silenzio.
“Non possiamo continuare a combattere Zumbì” disse Ganga Zumba.
“Questa è una trappola, signore!” affermò lui convinto
“Ci chiedono di mandare da loro i nostri giovani più forti, ma io so come fanno, non li trattano bene e li costringono a lavorare nei campi”
“Se non accettiamo però, prima o poi ci distruggeranno tutti” disse il Generale Maggiore del Quilombo
“Sono tornato per combattere” esortò Zumbì “Sono pronto ormai! Io posso difendere il Quilombo!”
“Se pensi di essere pronto Zumbì, io credo in te” disse lo zio al nipote.
“Sono pronto!”
“Allora da oggi, sarai tu il Grande Capo! È giunto il momento”.
Zumbì era dotato di un grande intuito e, grazie agli insegnamenti di Padre Melo, aveva acquisito delle grandi abilità strategiche.
I soldati dei Signori delle piantagioni erano in agguato proprio fuori dalle mura del Quilombo: anche se avessero firmato, non sarebbero mai stati risparmiati!
Così, Zumbì guidò silenziosamente i guerrieri del Quilombo fuori dalle loro mura.
Non appena si affacciarono, videro i soldati nemici appostati e pronti all’attacco, proprio come lui aveva predetto.
Grazie alla loro abilità nella Capoeira, misero tutti i nemici in fuga e gli intimarono di non tornare mai più.
Quella sera nel villaggio ci fu una grandissima festa a ritmo di atabaque e berimbau, dove tutti danzarono e festeggiarono fino all’ alba. Fu proprio in quella notte che Zumbì, Re del Quilombo Dos Palmares, chiese la mano della principessa guerriera Dandara per farla sua sposa. Da quel giorno in poi gli abitanti del Quilombo non ebbero mai più paura, perchè a difenderli c’erano il Re e la Regina più coraggiosi della storia del Brasile.